Diesel, l’addio è davvero vicino? Probabilmente no
- – di Pier Luigi del Viscovo
- 26 febbraio 2018
La decisione di FCA di abbandonare il diesel a far data dal 2022, che segue simili prese di distanza da parte di altri costruttori, già precedentemente annunciate, pone alcuni interrogativi.
Primo. Sarà vero? A parte il fatto che si tratta di indiscrezioni non smentite, su cui pare il Gruppo si esprimerà il 1°giugno, da qui al 2022 magari queste scelte potrebbero essere riconsiderate. Dipende. Nella misura in cui dietro un tale annuncio ci sia la strategia industriale di abbandonare i programmi di sviluppo di motori diesel sempre meno inquinanti, una volta staccata la spina non è che poi si possa tornare indietro tanto facilmente. Ma la spina verrà davvero staccata? È lecito chiederselo, visto che questi propulsori continueranno a muovere i mezzi commerciali, anche leggeri. D’altro canto, è innegabile che certi annunci trovino origine anche nelle aspettative di una certa stampa, che guarda molto ai trend di pensiero e meno a quelli industriali e commerciali.
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Secondo. Come si comporterebbero gli automobilisti? Una parte orienterebbe le proprie scelte di acquisto verso auto a benzina o a propulsione alternativa, principalmente metano e ibride. Questa opzione interesserà soprattutto le auto destinate prevalentemente a uso urbano, con percorrenze limitate. Prevedere che lo facciano tutti è un’astrazione. Una buona parte di automobilisti continuerebbe ad usare le auto diesel a lungo, per varie ragioni, non ultima quella che il motore diesel resta un propulsore ottimo e affidabile – ancorché inquinante, certo. Senza la possibilità di ricambio, si rischierebbe un “effetto Cuba”, con tante auto vecchie che vengono tenute in vita. Meglio sarebbe, per la salute di tutti, consentire un ricambio dei vecchi diesel con quelli attuali, Euro6.
Terzo. Aiuterebbe a ridurre il riscaldamento globale? No, anzi lo aumenterebbe. I motori diesel, più efficienti di quelli a benzina, emettono meno anidride carbonica per chilometro (CO2/km). È questa una delle ragioni per cui finora le istituzioni avevano favorito il diesel. Chi prevede che gli automobilisti, non potendo comprare un diesel, ripieghino su un motore elettrico, è ovviamente libero di crederlo.
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Quarto. Diminuirebbero le emissioni inquinanti? Sì, quelle relative alla combustione del motore, mentre ovviamente quelle prodotte dai freni e dal rotolamento dei pneumatici resterebbero – a meno di procedere al lavaggio delle strade. È opportuno essere precisi sul punto. Un’auto diesel Euro6 emette 0.08 gr/km di ossido di azoto (NOX) contro gli 0,06 di una a benzina: una riduzione del 25%. Ma parliamo di valori infinitesimali. Tutte le attività di combustione, umane e naturali, producono il particolato. Quello riconducibile ai mezzi di trasporto (circa il 27% del totale) è in forte e continua diminuzione. Prima il common rail e poi il filtro anti-particolato l’hanno ridotto di oltre cento volte, quasi azzerandolo. Rispetto ai veicoli obsoleti, gli Euro6 praticamente quasi non ne emettono. Anche le polveri sottili (PM10 e PM2,5) sono ormai quasi interamente assorbite dal filtro, stando entro il limite di 0,005 gr/km. Per avere un senso di misura, basti dire che secondo le rilevazioni dell’Agenzia Europea per l’Ambiente il riscaldamento degli edifici è la prima fonte e produce il triplo delle polveri prodotte dai mezzi di trasporto (passeggeri e merci) – tutti, non quelli Euro6.
Quinto. Ci sarebbero alternative? Decisamente sì. Per ottenere le medesime riduzioni subito, senza dover aspettare che il ciclo dei vecchi diesel si esaurisca, sarebbe opportuno stimolarne la rottamazione e agevolare il ricambio. Non si tratta solo di favorire le vendite dei costruttori di nuove macchine, ma anche e soprattutto di aiutare gli automobilisti a passare da un’auto Euro 0/1 (benzina o diesel fa poca differenza) a una Euro 4/5, infinitamente meno inquinante. Ma non solo. Le istituzioni hanno il dovere di intervenire aumentando i parcheggi cittadini, in modo da ridurre le percorrenze inutili e fluidificare il traffico, aumentando la velocità media in città. Il combinato disposto di queste misure ridurrebbe le emissioni in maniera sensibile.
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Sesto. Ci sarebbero costi da pagare? Sì, certamente. L’industria dei motori è un’eccellenza tecnologica europea, determinata in buona parte dalla non auto-sufficienza sul fronte degli idrocarburi e dalla spiccata sensibilità ambientale, che hanno spinto a sviluppare propulsori sempre più efficienti e sostenibili. È lecito che centri di potere e portatori di interessi extra-europei la prendano di mira, fa parte del gioco, del risiko industriale. Quello che si fatica a comprendere è il fuoco amico.
In conclusione, la faccenda delle emissioni è semplicemente troppo tecnica per poterla lasciare ai venti delle mode e delle ideologie. In questo, somiglia molto alla polemica sui vaccini. Legiferare sull’argomento è necessario e va fatto, ma lasciando entrare solo chi è competente e produce fatti e analisi scientifiche. I vessilliferi dovrebbero aspettare fuori.
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